In America il loro numero è più che raddoppiato in 10 anni; in Italia due sociologhe fanno il punto, spiegando che se di scelta si tratta la crisi c’entra poco. Ma come vivono, i signori impiegati come colf, badante, baby sitter, il loro ruolo? Come cambia la loro percezione negli altri maschi? E voi, assumereste un uomo per badare alla casa e ai figli? Tre donne raccontano la loro storia.
In tempi di crisi molti uomini riscoprono i lavori femminili, professioni dette “colletti rosa” come assistenti sociali, insegnanti, badanti e baby sitter, che per lungo tempo sono state dominio delle donne. Un fenomeno sociale in crescita, che in America è già una tendenza conclamata, come attestava una ricerca del “New York Times” già qualche anno fa: dal 2000 al 2010 il numero di maschi impiegati in ambiti professionali tradizionalmente femminili è raddoppiata. E in Italia? A fare il punto su questo tema è il libro “Trasformazione del lavoro nella contemporaneità. Gli uomini nei lavori non maschili”, una raccolta di saggi a cura delle sociologhe Margherita Sabrina Perra (Università di Cagliari) e Elisabetta Ruspini (Università Milano-Bicocca), edito da FrancoAngeli. Per saperne di più, abbiamo intervistato le due docenti universitarie.
Chi sono gli uomini che scelgono professioni “femminili”? E’ possibile tracciare un identikit?
“Non è possibile definire un profilo preciso, anche perché per diversi uomini queste esperienze lavorative sono considerate solo temporanee e/o non volute. In altri casi, soprattutto per le persone immigrate, si tratta di occupazioni sommerse che sfuggono quindi alla contabilità. Inoltre, bisogna considerare che in alcune di queste professioni, per esempio l’insegnamento nella scuola dell’obbligo, gli uomini iniziano con una mansione considerata femminile e poi passano a ruoli considerati più maschili, come quello di dirigente scolastico. La complessità di questi fenomeni rende difficile una stima, ma ciò che si può affermare è che anche in Italia si assiste una progressiva mascolinizzazione di alcuni lavori considerati “femminili” fino a non molto tempo fa”.
Quali sono i motivi che possono spingere a intraprendere lavori “non di genere”?
“Sono molti, diversi e disparati: da aspetti puramente personali a una vocazione altruistica che guarda al bene “dell’altro”. Inoltre, non manca la consapevolezza del piacere di condividere tempo ed esperienze con i bambini o anziani e l’essere coscienti delle proprie capacità di dialogo e di relazione con questi ultimi. In molti casi, inserirsi nel mondo dell’insegnamento e reinventarsi come male baby sitter è una scelta esercitata da molti uomini in maniera consapevole, ma non mancano situazioni in cui, soprattutto per gli uomini immigrati provenienti dall’Asia, si tratta di più un percorso quasi obbligato, dato che il mercato del lavoro italiano offre a molti di loro solo lavoro domestico e di assistenza”.
Quanto ha influito la recessione?
“In maniera molto limitata, dato che non necessariamente gli uomini che hanno perso il loro impiego sono disponibili a cercarne uno non tradizionale. Si tratta di fenomeni più complessi su cui influisce un processo di riflessione su di sé, che non aspetta i tempi di questa congiuntura economica sfavorevole. Nella crisi, forse, gli uomini che hanno già fatto un certo percorso sulla propria identità sono disponibili a trovare professioni anche femminili. Può accadere più di frequente che, restando per lunghi periodi in casa senza lavoro, molti si impegnino di più nelle mansioni domestiche e di cura per sostenere le proprie compagne, ma pensando che si tratta di una situazione limitata temporalmente, che non implica un ripensamento della divisione sessuale del lavoro. Se questa è la norma prevalente, non si può escludere tuttavia che molti uomini apprezzino la nuova dimensione domestica, il lavoro familiare e gli aspetti positivi che questo può offrire, per esempio nel migliorare la relazione con i membri della propria famiglia”.
Quali sono le professioni tipicamente femminili più scelte dagli uomini?
“Vanno dagli impieghi nell’assistenza sociale a quelli nell’insegnamento, ma anche colf, baby sitter e badanti: tutti lavori che hanno a che fare con attività di cura e sostegno degli altri, sfere “tradizionalmente” riservate alle donne. Stanno iniziando ad interessare gli uomini anche alcuni ambiti medici fino a poco tempo fa del tutto femminili, per esempio, l’ostetricia e l’assistenza neonatologica. A questi si aggiungono professioni legate al catering, all’organizzazione di eventi privati. Si tratta però di ambienti piuttosto limitati perché, come raccontiamo e cerchiamo di dimostrare nel nostro volume, quando si finisce per svolgere lavori non tradizionali si cerca di riempirli di contenuti più vicini alle identità maschili, nella convinzione che questo ne aumenti il prestigio sociale. Sono processi molto complessi che si giustificano con il fatto che gli uomini, se possono, cercano di evitare queste professioni, e quando le svolgono tentano di reinterpretarle usando caratteristiche considerate più “maschili”. Per esempio, nel caso degli uomini – italiani e stranieri – impegnati nei lavori di assistenza agli anziani, giustificano la loro presenza con il fatto che per sostenere un uomo si abbia bisogno di forza e di sensibilità diverse da quelle impiegate nel caso di una donna”.
Parliamo del manny, il baby sitter al maschile…
“Questa figura viene ricercata spesso da madri separate o single per “sostituire” la figura paterna assente, un modello maschile sul quale bambini e bambine possono contare. In un contesto nel quale l’identità virile sta attraversando una fase di ridefinizioni e cambiamenti, allo stesso modo della dimensione familiare, ecco nascere delle modalità inedite di espressione e relazione, dove la cura e l’educazione possono diventare dei “campi” maschili e gli uomini tornano a diventare dei riferimenti”.
Tra le nuove figure, non propriamente “professioni”, c’è anche quella del casalingo
“Gli uomini che hanno scelto – consapevolmente – di esserlo sono spesso felici di rivestire questo ruolo, lo vivono come un’opportunità di dedicarsi a tempo pieno alla propria famiglia, prendendosene cura integralmente. Non si sentono sviliti da questo compito e hanno elaborato una nuova identità di sé e della propria mascolinità non più centrata sul lavoro retribuito. Che si tratti di un fenomeno sociale in via di affermazione, lo dimostra il fatto che si sono già costituite associazioni di casalinghi, in cui gli uomini cercano di spiegare a coloro che lo diventano per necessità che non si tratta di una condizione che toglie prestigio sociale. La vivono come un’esperienza qualificante, che riempie di soddisfazioni e che permette di sviluppare lati della propria identità che tendono a rimanere sopiti”.
La loro scelta lavorativa come viene percepita dal gentil sesso? E dagli altri uomini?
“Le donne, di solito, accettano di buon grado di condividere gli spazi del loro lavoro e gli ambiti domestici con i colleghi o con i partner. Gli uomini che sviluppano e manifestano sensibilità più femminili sono apprezzati, perché con loro è più facile condividere molte esperienze della via quotidiana. Quando è il proprio compagno a fare scelte di questo genere, il rapporto tende a divenire più simmetrico, non solo perché si divide il lavoro domestico ma soprattutto perché si condividono emozioni, percorsi educativi e di crescita di sé e dei propri figli. Dinamiche che sembravano impossibili fino a pochi anni addietro. Gli uomini, invece, hanno atteggiamenti più severi nei confronti di chi opta per professioni non tradizionali. Temono che questa scelta comprometta la divisione sessuale del lavoro tra maschi e femmine e tolga ai primi il potere di cui essi godono da sempre. Spesso vengono considerati come uomini con un’identità di genere molto debole. E ciò si traduce nell’attribuzione di orientamenti omosessuali. A questi maschi si chiede costantemente di dimostrare la propria virilità, la propria forza e tutte le caratteristiche che sono riconosciute agli uomini dal proprio gruppo sociale di appartenenza o dalla società nel suo complesso. Essere accettati come colf dai propri amici, insomma, non è facile”.
LE STORIE
E voi assumereste come tata, colf e segretaria un uomo? Tre donne ci hanno risposto, raccontandoci la loro esperienza.
“Ho scelto un uomo come colf perché mi aiuta anche nei lavoretti di casa” spiega Federica, 36 anni, dentista di Roma.
“Non sono affatto brava come donna di casa e il fatto di stare tutto il giorno fuori mi ha spinto a cercare una persona che potesse aiutarmi nelle faccende domestiche. Dopo l’ultima colf che mi ha mollato su due piedi, consigliata da una mia amica, ho provato con un uomo, Dan che viene da Bali. Si è dimostrato subito affidabile e flessibile, non solo sistema quel che trova in disordine ma riesce a gestire tutto, l’intera vita domestica, senza darmi più pensieri: dalla spesa alla lavatrice fino alla cura delle piante. Ma il suo plus è che risolve tutte quelle cose tipiche maschili su cui non so proprio dove mettere, come riparare il tubo che perdere o sistemare una presa elettrica”.
“Ho detto sì al tato, superando i miei preconcetti” afferma Daniela, 42 anni, architetto di Napoli. “Come tante mamme, l’idea di affidare il proprio bimbo a una babysitter non è mai una scelta facile. Perché ti devi fidare e sperare che sia una tua degna sostituta quando non ci sei. Luca, mio figlio, ne ha conosciute tante, che si sono avvicendate da quando aveva 2 anni. Ora che ne ha otto ho deciso di provare con un manny, scegliendo Federico, il figlio di una mia amica, un ragazzo serio che ha bisogno di lavorare tra un esame universitario e l’altro. Per Luca è un’ottima figura maschile con cui rapportarsi e giocare, lo vede come un fratello maggiore da cui imparare e a cui chiedere consiglio”.
“La mia agenda lavorativa l’ho affidata a Giacomo” dice Stefania, 45 anni, imprenditrice di Torino. “Il mio assistente è un giovane laureato, che tutte le volte lascia sorpresi i miei clienti perché si aspettano che a rispondere al telefono sia una voce femminile. Per non parlare delle battute cretine e allusive che si sprecano, visto che è anche un bel ragazzo. Ma quando l’ho scelto, anche se era l’unico uomo tra tutte le candidate, non ho guardato al sesso, perché per me sul lavoro non conta. Ho guardato alla professionalità e al modo di porsi: oltre che qualificato e con voglia di adoperarsi, è stato l’unico che con estrema umiltà mi ha detto che per imparare veramente questo mestiere bisogna partire dalla gavetta. Come non premiarlo insegnandogli tutto quello che so?”.
di Veronica Mazza
Fonte: http://d.repubblica.it/attualita/2014/04/02/news/uomini_fanno_lavori_da_donna-2073041/