L’attività di casalinga è stata tradizionalmente, e purtroppo continua ad essere, un lavoro invisibile, senza alcun prestigio sociale in quanto non retribuito e ancora neanche riconosciuto come professione: a tutt’oggi, infatti, il ruolo di casalinga/o non compare nella classificazione delle professioni dell’Istat e nella Rilevazione sulle forze di lavoro 2021 la dizione casalinga/o è parificata a quella di altre condizioni di ‘non impiegati’ come disoccupato/a, studente/essa, pensionata/o, donna in maternità. Tale classificazione è senz’altro fondata sul criterio della mancanza di produzione di reddito, che evidentemente porta a una distorsione nella resa dei dati, lasciando sotto traccia una consistente fetta di forza lavoro su cui si regge ancora buona parte delle famiglie italiane.
Questa mancanza di rilievo sociale è stato il primo aspetto su cui si sono fatti sentire i casalinghi uomini: a partire dal “problema” di indicare il maschile casalingo come professione sulla Carta d’identità (questione superata nel 2016 con l’avvento della carta d’identità elettronica in cui non è più richiesta la specificazione della professione), dai primi anni del 2000 si sono costituite associazioni di casalinghi con lo scopo di valorizzare il lavoro domestico fino a promuoverlo a professione vera e propria, socialmente riconosciuta.
Il 15 gennaio 2003, a Pietrasanta (Lucca) Fiorenzo Bresciani fonda l’Associazione Uomini Casalinghi (AsUC) e sembra essere il primo a poter vantare la dicitura “professione casalingo” sulla carta d’identità: sul computer è emerso che questa voce non era contemplata, essendo presente solo la versione al femminile. Al termine di un consulto con un collega d’ufficio, la gentilissima impiegata mi ha detto: “Ma lei è proprio sicuro di non essere un disoccupato?”. “Perbacco” ho risposto “come posso considerarmi tale se lavoro dalla mattina alla sera? Questo significa che le casalinghe sono tutte disoccupate? […] Alla fine, dopo aver coinvolto anche il capo ufficio, hanno deciso di intervenire direttamente sul computer per apportare la modifica necessaria e ora, finalmente, l’anagrafe della mia città contempla la voce “casalingo”. (Federico Nenzioni, Francesco Baccilieri,
Se papà fa il casalingo, Milano,
L’attività di casalinga è stata tradizionalmente, e purtroppo continua ad essere, un lavoro invisibile, senza alcun prestigio sociale in quanto non retribuito e ancora neanche riconosciuto come professione: a tutt’oggi, infatti, il ruolo di casalinga/o non compare nella classificazione delle professioni dell’Istat e nella Rilevazione sulle forze di lavoro 2021 la dizione casalinga/o è parificata a quella di altre condizioni di ‘non impiegati’ come disoccupato/a, studente/essa, pensionata/o, donna in maternità. Tale classificazione è senz’altro fondata sul criterio della mancanza di produzione di reddito, che evidentemente porta a una distorsione nella resa dei dati, lasciando sotto traccia una consistente fetta di forza lavoro su cui si regge ancora buona parte delle famiglie italiane.
Questa mancanza di rilievo sociale è stato il primo aspetto su cui si sono fatti sentire i casalinghi uomini: a partire dal “problema” di indicare il maschile casalingo come professione sulla Carta d’identità (questione superata nel 2016 con l’avvento della carta d’identità elettronica in cui non è più richiesta la specificazione della professione), dai primi anni del 2000 si sono costituite associazioni di casalinghi con lo scopo di valorizzare il lavoro domestico fino a promuoverlo a professione vera e propria, socialmente riconosciuta.
Il 15 gennaio 2003, a Pietrasanta (Lucca) Fiorenzo Bresciani fonda l’Associazione Uomini Casalinghi (AsUC) e sembra essere il primo a poter vantare la dicitura “professione casalingo” sulla carta d’identità: sul computer è emerso che questa voce non era contemplata, essendo presente solo la versione al femminile. Al termine di un consulto con un collega d’ufficio, la gentilissima impiegata mi ha detto: “Ma lei è proprio sicuro di non essere un disoccupato?”. “Perbacco” ho risposto “come posso considerarmi tale se lavoro dalla mattina alla sera? Questo significa che le casalinghe sono tutte disoccupate? […] Alla fine, dopo aver coinvolto anche il capo ufficio, hanno deciso di intervenire direttamente sul computer per apportare la modifica necessaria e ora, finalmente, l’anagrafe della mia città contempla la voce “casalingo”. (Federico Nenzioni, Francesco Baccilieri,
Se papà fa il casalingo, Milano,
L’attività di casalinga è stata tradizionalmente, e purtroppo continua ad essere, un lavoro invisibile, senza alcun prestigio sociale in quanto non retribuito e ancora neanche riconosciuto come professione: a tutt’oggi, infatti, il ruolo di casalinga/o non compare nella classificazione delle professioni dell’Istat e nella Rilevazione sulle forze di lavoro 2021 la dizione casalinga/o è parificata a quella di altre condizioni di ‘non impiegati’ come disoccupato/a, studente/essa, pensionata/o, donna in maternità. Tale classificazione è senz’altro fondata sul criterio della mancanza di produzione di reddito, che evidentemente porta a una distorsione nella resa dei dati, lasciando sotto traccia una consistente fetta di forza lavoro su cui si regge ancora buona parte delle famiglie italiane.
Questa mancanza di rilievo sociale è stato il primo aspetto su cui si sono fatti sentire i casalinghi uomini: a partire dal “problema” di indicare il maschile casalingo come professione sulla Carta d’identità (questione superata nel 2016 con l’avvento della carta d’identità elettronica in cui non è più richiesta la specificazione della professione), dai primi anni del 2000 si sono costituite associazioni di casalinghi con lo scopo di valorizzare il lavoro domestico fino a promuoverlo a professione vera e propria, socialmente riconosciuta.
Il 15 gennaio 2003, a Pietrasanta (Lucca) Fiorenzo Bresciani fonda l’Associazione Uomini Casalinghi (AsUC) e sembra essere il primo a poter vantare la dicitura “professione casalingo” sulla carta d’identità: sul computer è emerso che questa voce non era contemplata, essendo presente solo la versione al femminile. Al termine di un consulto con un collega d’ufficio, la gentilissima impiegata mi ha detto: “Ma lei è proprio sicuro di non essere un disoccupato?”. “Perbacco” ho risposto “come posso considerarmi tale se lavoro dalla mattina alla sera? Questo significa che le casalinghe sono tutte disoccupate? […] Alla fine, dopo aver coinvolto anche il capo ufficio, hanno deciso di intervenire direttamente sul computer per apportare la modifica necessaria e ora, finalmente, l’anagrafe della mia città contempla la voce “casalingo”. (Federico Nenzioni, Francesco Baccilieri,
Se papà fa il casalingo, Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 103-104)
Alla fine dello stesso 2003 la Spontex, azienda di prodotti per la pulizia della casa, organizza il primo Master per Home manager (rigorosamente in inglese, che sembra dare maggior lustro anche alle “arti” casalinghe di spolverare, lavare e stirare!) rivolto “a sposine fresche d’altare, ma anche a single, neo-separate e, ovviamente, a uomini casalinghi. L’obiettivo? Fornire le competenze necessarie per una perfetta gestione della casa, insegnare i fondamenti di una professione tanto bistrattata quanto sconosciuta e offrire consigli e suggerimenti legati al benessere psico-fisico all’interno delle pareti domestiche”.
E anche sui giornali cominciano ad essere più frequenti le attestazioni di casalingo/ghi, in articoli che alternano toni ironici e dati di iscrizione all’Inail di migliaia di uomini casalinghi (pochissimi a fronte dei milioni di donne):
Maschi si nasce (come direbbe Tremaglia). E casalinghi si diventa. Frequentando il master per la fantomatica figura di home manager che dopo Milano, Verona e Lucca approderà nei prossimi mesi anche a Bari. L’idea è di una multinazionale che produce articoli per la pulizia della casa – un modo come un altro per farsi pubblicità, insomma – e comprende una sedicente lezione di stirologia: ovvero «l’arte di saper stirare», leggiamo testualmente. (Gianni Messa, Professione casalingo, “la Repubblica” 15/10/2004) Di cosa stiamo parlando? Della professione di casalingo: l’uomo che per scelta o per dovere si prende cura della casa. Secondo i dati dell’
Istatnel 2008 in Italia, su un totale di oltre 8 milioni di casalinghe/i, gli uomini sono 49mila. Sempre nel 2008 l’Inail ha assicurato 24.259 uomini; il dato si riferisce alla fascia di uomini di età 18-65 anni e che svolgono lavoro gratuito e non occasionale finalizzato alle cure familiari e domestiche. È proprio il caso di dire che in tempi di recessione e crisi i maschi sembrano davvero adeguarsi. (
Professione casalingo: un vero e proprio esercito, “Gazzetta del lavoro”, 14/9/2009)
E l’Ansa, nel 2019, riporta i dati Istat da cui emerge il raggiungimento dei 100.000 casalinghi in Italia:
I casalinghi, uomini la cui ‘attività’ sta nel badare alla casa, hanno raggiunto quota 100 mila nella classe 15-64 anni, in cui rientrano le persone in età da lavoro. È quanto emerge dai dati Istat aggiornati al primo trimestre 2019. (Redazione Ansa, Sono 100mila i casalinghi italiani, 20/8/2019)
Questo progressivo ampliamento della professione casalinga anche tra gli uomini ha determinato non solo la formazione del sostantivo casalingo alla forma maschile, ma la sua maggiore diffusione nell’uso, anche nella lingua dell’informazione, della politica, dell’economia. Non è facile quantificare la penetrazione nella lingua comune del sostantivo maschile casalingo/ghi e una ricerca con Google, condotta per avere almeno un dato indicativo sui grossi numeri ad oggi, risulta molto disturbata dalla sovrapposizione con il corrispondente aggettivo. Ho quindi impostato la ricerca su alcune stringhe che potessero eludere, almeno in parte, il rumore altrimenti presente nella restituzione dei dati (pagine in italiano al 20/11/2021):
– “professione casalingo” 3.560 occorrenze / “professione casalinga” 3.360 occ. (al femminile fa meno notizia e, come si accennava prima, la nobilitazione del mestiere si è affermata proprio con l’ingresso degli uomini);
– “fare il casalingo” 6.200 occ. / “fare la casalinga” 174.000 occ. (meno riconoscimento, numeri più alti al femminile);
– “casalingo a tempo pieno” 4.760 occ. / “casalinga a tempo pieno” 19.000 occ.
Un’importante conferma dell’affermazione della forma maschile ci viene dai dizionari, che, dopo una tradizione di registrazione soltanto del sostantivo femminile, peraltro all’interno della voce dedicata all’aggettivo, hanno iniziato a contemplare anche il sostantivo casalingo. La situazione attuale è ancora differenziata anche sulla base delle edizioni più o meno recenti dei dizionari sincronici, per cui il GRADIT ha la voce casalingo s.m., ma rimanda a casalinga con definizione ed esempi solo al femminile “donna che si dedica esclusivamente alle faccende domestiche, senza esercitare altro mestiere o professione: mia madre è casalinga”; il Vocabolario Treccani invece ha soltanto la voce femminile casalinga e non cita la forma maschile; il Devoto-Oli, nella sua ultima edizione del 2022, ha inserito, oltre a casalinga, anche la voce casalingo “s.m (f. -a) Uomo che svolge le faccende di casa o che ama stare in casa (anche scherz.)”, mentre la voce maschile con una definizione analoga è presente nello Zingarelli fin dalla sua edizione del 2005: “s.m. (f. -a (V.)) uomo che si prende cura della casa, anche scherzoso”.
Dunque una professione in aumento, quella degli uomini dediti alla cura della casa, e una parola, casalingo, che si sta facendo strada nell’uso, ormai da qualche decennio, tanto da essere stata inserita nei principali dizionari. Certo, dobbiamo notare, con qualche resistenza dovuta a ragioni inverse rispetto a quelle per cui i nomi di professioni socialmente prestigiose faticano ad affermarsi in forma femminile. Anche in questo caso la lingua italiana non ha nessuna “colpa” e dimostra, ancora una volta, tutta sua ricchezza e capacità di adattamento.
Raffaella Setti